La condanna per molestie all’ex fidanzata. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32770/2025, ha emesso un’importante decisione riguardante le molestie nei rapporti personali. Un uomo, di quasi 30 anni e residente in Calabria, è stato condannato per aver molestato la sua ex fidanzata attraverso un continuo bombardamento di telefonate e messaggi dopo la rottura della loro relazione. Questo caso pone l’accento sui confini tra insistenza e molestia, evidenziando che la petulanza non è mai giustificabile.
Molestie all’ex fidanzata: la Cassazione condanna un uomo per petulanza
Il tentativo di riconciliazione che diventa assedio
Dopo la rottura, l’uomo ha iniziato a contattare incessantemente la sua ex, inviando messaggi e telefonate per un periodo di circa quindici giorni. Frasi come “Ti prego, ripensaci” e “Mi manchi” si sono trasformate in un assedio emotivo. Questo comportamento, inizialmente percepito come un tentativo di riconciliazione, ha portato la donna a sentirsi oppressa e infastidita, culminando nella decisione di sporgere querela.
La difesa dell’imputato e il concetto di ‘tentativo di pace’
La difesa dell’uomo ha sostenuto che le sue azioni erano semplicemente un tentativo di riparare la relazione. L’avvocato ha argomentato che poiché nessun messaggio conteneva contenuti offensivi, e la donna non aveva bloccato il suo numero, non si poteva considerare il suo comportamento come molestia. Tuttavia, la Corte ha chiarito che l’intenzione non giustifica le azioni che ledono la tranquillità altrui.
Petulanza: più di un semplice fastidio
La Cassazione ha definito la molestia come un’alterazione dell’equilibrio psichico di una persona normale, evidenziando che anche un atteggiamento di invadenza può essere considerato reato. La legge non richiede che vi sia un’azione eclatante per definire un comportamento come molesto; basta un comportamento ripetitivo e inopportuno. L’invio di decine di messaggi e telefonate a una persona che ha espressamente deciso di chiudere un rapporto è un chiaro esempio di petulanza.
La questione del blocco: un falso alibi
Uno degli aspetti più significativi della sentenza è la demolizione della cosiddetta ‘scusa del blocco’. I giudici hanno stabilito che è irrilevante che la vittima avesse la possibilità di bloccare il numero dell’aggressore. Infatti, la decisione di bloccare qualcuno arriva solo dopo aver già subito un disturbo significativo. Questo significa che la molestia è già avvenuta prima che la vittima possa adottare misure per proteggersi.
Il diritto alla tranquillità pubblica
La Corte ha anche sottolineato che la legge non si limita a tutelare la quiete privata dell’individuo, ma si estende alla protezione della tranquillità pubblica. Un comportamento molesto può generare reazioni imprevedibili e disturbare l’ordine sociale. La querela sporta dalla donna dimostra chiaramente il suo stato di disagio e la necessità di intervenire per fermare l’assalto emotivo.
Conclusioni sulla sentenza della Cassazione
In conclusione, la sentenza n. 32770/2025 della Cassazione rappresenta un passo importante nella definizione delle molestie e nella protezione delle vittime. La Corte ha chiarito che l’insistenza e la petulanza non sono mai giustificabili, e che il rispetto della libertà altrui deve sempre essere una priorità. Questo caso serve a ricordare a tutti che il confine tra amore e molestia può essere sottile, e che è fondamentale essere consapevoli delle proprie azioni nei rapporti interpersonali.
