Può sembrare un dettaglio da poco, ma nel diritto delle successioni i dettagli contano, eccome. Capita infatti che un testatore, nel redigere le proprie ultime volontà, dimentichi o ometta di indicare il cognome dell’erede. Una dimenticanza che, a prima vista, potrebbe far pensare a un errore fatale, tale da rendere nullo il testamento o comunque da impedirne l’esecuzione. Ma la legge e la giurisprudenza italiana non sono così rigide: in realtà, ciò che conta davvero è un’altra cosa, e cioè la chiara identificabilità dell’erede.
Vediamo quindi come viene trattato questo caso dai tribunali e in quali situazioni un testamento può essere considerato comunque valido anche in assenza del cognome di chi deve ricevere l’eredità.
Testamento valido senza cognome dell’erede: cosa dice la legge?
L’essenza del testamento e l’importanza dell’identificazione
Il testamento è un atto personale con cui una persona, il testatore, dispone dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere. È un documento che, per essere valido, deve rispettare non solo determinati requisiti formali (come la forma olografa o quella pubblica), ma anche sostanziali: deve cioè esprimere in modo chiaro, libero e consapevole la volontà del testatore.
Tra questi requisiti rientra anche la corretta individuazione dei beneficiari delle disposizioni testamentarie. Tuttavia, il nostro ordinamento non pretende una precisione burocratica o notarile: ciò che conta è che dal testo emerga senza ambiguità la persona a cui il testatore intendeva lasciare i propri beni.
Questo principio deriva dall’articolo 628 del Codice civile, che stabilisce che l’errore nell’indicazione del beneficiario non comporta la nullità della disposizione, se è comunque possibile identificare con certezza la persona voluta dal testatore.
Quando l’omissione del cognome non invalida il testamento
Nella pratica, molti testamenti olografi — cioè scritti di proprio pugno dal testatore — contengono imprecisioni, omissioni o indicazioni incomplete. È frequente trovare formule come “Lascio tutto a mia nipote Laura” oppure “Lascio la casa a Mario, il figlio del mio amico Giovanni”.
Ebbene, secondo la giurisprudenza, l’assenza del cognome non è di per sé causa di invalidità, purché non ci siano dubbi sull’identità della persona indicata. In altre parole, se dal contesto del testamento o dalle circostanze esterne è possibile capire chi sia “Laura” o “Mario”, la disposizione resta valida.
La Corte di Cassazione, in più sentenze (tra cui la n. 1231/2019 e la n. 18695/2021), ha chiarito che non è necessario indicare l’erede con nome e cognome completi, se la persona è comunque identificabile “in modo certo e inequivocabile”. È sufficiente, ad esempio, un riferimento ai rapporti familiari o personali, alla residenza o a elementi che rendano univoco il riconoscimento.
Esempi concreti: quando il testamento resta valido
Immaginiamo che una signora scriva nel suo testamento olografo: “Lascio la mia casa di Roma a mia nipote Elisa”. Se la testatrice ha una sola nipote di nome Elisa, l’indicazione è considerata più che sufficiente. Anche senza cognome, nessuno potrebbe equivocare su chi sia la destinataria del bene.
Diverso sarebbe il caso in cui la signora avesse più nipoti di nome Elisa, oppure un contesto familiare complesso, tale da generare ambiguità. In una situazione del genere, l’omissione del cognome potrebbe effettivamente rendere incerta la volontà del testatore, costringendo gli eredi a un contenzioso per accertare chi fosse il vero destinatario della disposizione.
Un altro esempio utile è quello del testamento che recita: “Lascio la mia collezione di quadri a Mario, il mio amico d’infanzia.” Anche in questo caso, se nel contesto della vita del testatore è noto chi fosse “l’amico d’infanzia Mario”, la volontà resta chiara e la disposizione valida. Ma se il defunto frequentava più persone con quel nome e non ci sono ulteriori elementi di identificazione, la disposizione rischia di cadere per incertezza del beneficiario.
Quando invece il testamento può essere contestato
L’assenza del cognome diventa un problema serio quando genera incertezza oggettiva. In questi casi, il rischio è che la disposizione testamentaria venga considerata ineseguibile o nulla, perché non è possibile individuare con sicurezza la persona a cui il testatore voleva destinare il bene.
La nullità può essere dichiarata, ad esempio, se nel testamento si legge: “Lascio i miei risparmi a mio nipote Giovanni”, ma il testatore aveva due nipoti di nome Giovanni. In una simile situazione, i giudici potrebbero non riuscire a ricostruire la volontà del defunto, e la disposizione verrebbe annullata per mancanza di certezza sul destinatario.
In altre parole, la legge tutela la volontà del testatore, ma non può sostituirla: se è impossibile capire a chi si riferisse, la disposizione non può essere eseguita.
Come si accerta la volontà del testatore
Quando il nome dell’erede è incompleto, spetta ai giudici valutare se esistono elementi oggettivi che consentano di identificare il soggetto voluto. Vengono analizzate non solo le parole del testamento, ma anche il contesto familiare, sociale e relazionale del testatore:
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i legami di parentela;
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le testimonianze di amici o conoscenti;
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la corrispondenza o documenti che confermano il rapporto con la persona indicata;
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la coerenza con altre parti del testamento.
Tutto ciò serve a ricostruire la volontà effettiva del testatore, che resta il criterio cardine in materia successoria. Non a caso, la Cassazione ha più volte ribadito che “il testamento deve essere interpretato nel senso che può avere effetto piuttosto che in quello che non può averne”, cioè cercando in ogni modo di salvaguardare l’intenzione del defunto, purché sia logicamente ricostruibile.
Cosa succede in caso di contestazione
Se gli eredi non sono d’accordo sull’identità del beneficiario indicato in modo incompleto, si apre una causa di interpretazione testamentaria. Il giudice, in quel caso, deve stabilire se la persona designata possa essere identificata con certezza o meno.
Quando la volontà del testatore è ricostruibile, la disposizione resta valida. Al contrario, se le prove sono insufficienti o contraddittorie, la clausola viene dichiarata inefficace. In tal caso, la quota o il bene indicato nel testamento rientrano nella successione legittima, ossia vengono ripartiti secondo le regole ordinarie tra gli eredi legittimi.
Consigli per evitare problemi futuri
Scrivere un testamento olografo è un gesto di autonomia, ma richiede attenzione e precisione. Anche se la legge ammette un certo margine di tolleranza, è sempre preferibile indicare nome, cognome e rapporto di parentela del beneficiario, per evitare interpretazioni o dispute tra gli eredi.
Chi redige un testamento dovrebbe inoltre:
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evitare abbreviazioni o soprannomi, a meno che siano universalmente riconosciuti;
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indicare elementi univoci, come la data di nascita o il grado di parentela;
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farsi assistere da un notaio se teme che la formulazione possa dare adito a dubbi.
Un piccolo accorgimento linguistico può evitare anni di contenziosi e garantire che la volontà del testatore venga rispettata fino in fondo.
In sintesi
Un testamento che non riporta il cognome dell’erede non è automaticamente nullo. La validità dipende dalla possibilità di identificare con certezza la persona a cui si riferisce la disposizione. Se dal testo o dal contesto emerge chiaramente chi sia il beneficiario, l’omissione del cognome non compromette la volontà testamentaria.
Diversamente, se il riferimento è ambiguo o genera dubbi, la clausola può essere dichiarata nulla e la quota ereditaria ripartita secondo la successione legittima.
La legge, in definitiva, cerca sempre di dare priorità alla sostanza sulla forma: ciò che conta è la volontà autentica del testatore, purché sia possibile comprenderla con sicurezza.
