Quando una casa è in comproprietà la domanda spunta sempre fuori: uno dei due può affittarla senza l’ok dell’altro? La risposta, in breve, è che sì, in molti casi il contratto firmato da un solo comproprietario è valido, però ha dei limiti importanti e può creare conseguenze pratiche e fiscali che conviene conoscere prima di muoversi. Vediamo come funziona davvero.
Comproprietario può fittare casa senza consenso dell’altro: cosa dice la legge
Comproprietà: due parole su cosa significa
La comproprietà è la situazione in cui più persone sono titolari, pro quota, dello stesso immobile. Non esistono “stanze” o parti fisiche già divise: ognuno ha una quota ideale e il bene si usa in comune. Nel nostro ordinamento ogni partecipante può utilizzare la cosa comune, purché non impedisca agli altri di farne parimenti uso e non ne alteri la destinazione. Questo principio è la base per capire cosa si può fare con la locazione.
Affittare senza consenso: quando si può
La giurisprudenza, nel tempo, ha chiarito che la locazione stipulata da uno solo dei comproprietari è in linea di massima ammissibile. Non serve allegare al contratto l’autorizzazione scritta degli altri contitolari e non è necessario un potere rappresentativo formale. La ragione è pratica: il legislatore presume che quel comproprietario stia gestendo un affare nell’interesse di tutti, perché l’affitto genera un frutto economico (il canone) che giova all’intera comunione.
Tradotto in concreto: se Tizio e Caia sono comproprietari al 50% e Tizio firma un contratto di locazione dell’appartamento, quel contratto è valido tra Tizio e l’inquilino. La locazione non è automaticamente nulla solo perché Caia non ha firmato.
Cosa può fare l’altro comproprietario
Qui entra in gioco un passaggio fondamentale. L’altro comproprietario non è “ostaggio” della scelta altrui. Ha tre strade principali.
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Ratificare. Se approva la gestione, può ratificarla anche dopo. Da quel momento, oltre a consolidare l’effetto verso terzi, ha titolo per pretendere la propria quota dei canoni direttamente o tramite il comproprietario locatore.
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Opporsi se l’uso diventa esclusivo. Se la locazione concessa dal singolo di fatto priva l’altro del godimento del bene, l’altro comproprietario può contestare l’operazione e, in casi estremi, chiedere la riconsegna dell’immobile al conduttore perché il contratto non gli è opponibile. L’idea è semplice: nessuno può, da solo, trasformare un bene comune in un bene di uso esclusivo a favore di un estraneo se ciò sacrifica il pari diritto altrui.
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Chiedere i canoni e i conguagli. Anche se non ratifica, il comproprietario estraneo alla firma non perde il diritto ai frutti della cosa comune. Può chiedere la sua percentuale dei canoni maturati e, se necessario, agire per il rendiconto.
Durata e natura del contratto: non tutti gli affitti sono uguali
La durata incide. Un contratto di locazione ultranovennale finisce per toccare la sfera degli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione. Per operazioni che impegnano il bene in modo così incisivo il consenso di tutti i partecipanti diventa necessario. Di contro, i contratti entro il limite ordinario rientrano nello schema della gestione di affari nell’interesse comune, salvo prova contraria.
Inoltre, a parità di durata, contano le clausole. Un patto che di fatto blocca l’immobile per un tempo indefinito, oppure che attribuisce all’inquilino poteri tipici del proprietario, rischia di superare l’ordinaria amministrazione e quindi di richiedere l’unanimità.
L’inquilino è tutelato?
Dal punto di vista del conduttore, il contratto resta valido nei confronti del comproprietario che ha firmato, che ha l’obbligo di garantire il godimento. Se però l’altro comproprietario contesta l’accordo perché lesivo dei suoi diritti, il conduttore potrebbe dover rilasciare l’immobile verso quel comproprietario, con eventuale diritto a rivalersi sul locatore che lo ha messo in quella situazione. Per l’inquilino, la prima buona prassi è sincerarsi che tutti i contitolari siano allineati o, almeno, che non vi sia un dissenso espresso.
Fisco e ripartizione dei canoni
Altro tema spesso sottovalutato: chi dichiara i canoni? In linea generale, i frutti della cosa comune appartengono a tutti i contitolari in proporzione alle quote. Anche se ha firmato solo uno, il reddito da locazione nasce comunque sulla cosa comune e fiscalmente va ripartito tra gli aventi diritto, salvo diversi accordi interni che abbiano effetti anche tributari. Ignorare questa ripartizione può creare squilibri e liti a posteriori.
Come muoversi per evitare problemi
Nella pratica conviene sempre mettere le cose in chiaro per iscritto. Due mosse semplici fanno la differenza:
• Accordo interno tra comproprietari. Anche una scrittura privata può definire chi gestisce la locazione, come si incassano i canoni, dove finiscono le spese e come si decide sui rinnovi.
• Comunicazione all’inquilino. Informare il conduttore dell’assetto della comproprietà, indicando chi è il referente per i pagamenti e per la manutenzione, evita fraintendimenti e contestazioni su pagamenti “alla persona sbagliata”.
Se poi la comunione è litigiosa o la casa è improduttiva da anni proprio perché non vi mettete d’accordo, la via d’uscita può essere lo scioglimento della comunione o una divisione dei frutti gestita dal giudice.
Quando serve davvero l’unanimità
Serve il consenso di tutti quando l’atto va oltre la semplice gestione, per esempio:
• locazioni che, per durata o contenuto, vincolano l’immobile in modo quasi permanente;
• patti che trasferiscono diritti assimilabili a diritti reali di godimento;
• qualsiasi accordo che, per effetti economici o giuridici, travalica l’ordinaria amministrazione della cosa comune.
In questi casi, il contratto firmato da uno solo non è opponibile agli altri contitolari e può cadere sotto la scure dell’invalidità o dell’inefficacia verso chi non ha consentito.
In sintesi operativa
Un comproprietario può firmare un contratto di affitto anche senza l’ok scritto dell’altro, perché la legge presume una gestione nell’interesse comune. L’altro comproprietario può ratificare e prendersi la sua quota dei canoni, oppure opporsi se l’accordo lede il suo diritto di godimento. Attenzione però a durata, clausole e ripartizione fiscale. Con due pagine di accordo interno si prevengono il 90% dei problemi.
Domande frequenti
Il comproprietario può affittare l’intera casa da solo?
Sì, in molti casi il contratto è valido verso il comproprietario che firma e il conduttore. L’altro comproprietario però può ratificare, chiedere i canoni pro-quota o, se l’accordo gli impedisce il godimento, opporsi e chiederne l’inefficacia nei suoi confronti.
Se non sono d’accordo, posso far uscire l’inquilino?
Puoi contestare la locazione quando ti priva del tuo diritto di uso o quando l’accordo eccede l’ordinaria amministrazione. In queste ipotesi puoi chiedere la riconsegna dell’immobile al conduttore e i conguagli economici.
I canoni a chi spettano e chi li dichiara?
Spettano a tutti i contitolari in proporzione alle quote, salvo accordi diversi. Anche la dichiarazione dei redditi segue la ripartizione pro-quota, a prescindere da chi materialmente incassa.
Per gli affitti lunghi serve l’unanimità?
Se la durata o le clausole trasformano la locazione in un vincolo pesante sul bene, si entra nell’area degli atti che richiedono il consenso di tutti i comproprietari.
Come tutelarsi prima di firmare?
Meglio una scrittura privata tra comproprietari che disciplini gestione, incassi, spese e rinnovi. Al conduttore conviene farsi confermare chi è il referente e se ci sono dissensi noti.
