Novembre 10, 2025
Assegno divorzile criteri per ottenerlo e come funziona
Assegno divorzile: cosa considera il giudice, come si calcola, quando si ottiene o si revoca, differenze tra pagamento periodico e una tantum, effetti fiscali e tutele in caso di inadempimento. Guida completa e aggiornata.

L’assegno divorzile è uno degli argomenti più frequenti e fraintesi quando si parla di fine del matrimonio. Non è un automatismo, non è una “rendita” vita natural durante e non serve a ripristinare per forza lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Oggi l’orientamento giurisprudenziale lo considera uno strumento con una funzione insieme assistenziale, compensativa e perequativa: in pratica, serve a evitare squilibri economici ingiustificati alla luce della storia coniugale, premiando il contributo dato alla famiglia (anche domestico e di cura) e compensando eventuali sacrifici professionali che hanno favorito l’altro coniuge.

Capire come si ottiene, come si calcola e quando si modifica o si estingue è essenziale per muoversi con consapevolezza nel procedimento di divorzio.

Assegno divorzile: criteri per ottenerlo e come funziona

Cos’è l’assegno divorzile oggi

Dal punto di vista giuridico, l’assegno divorzile è una somma periodica, oppure in forma “una tantum”, riconosciuta dal tribunale a favore di un ex coniuge che, al momento del divorzio, si trovi in una condizione economica deteriore non per colpa propria, ma come effetto di scelte familiari condivise.

La finalità non è più soltanto assistenziale — cioè garantire la mera autosufficienza — ma anche compensativa: chi ha rinunciato o ridimensionato la propria carriera per occuparsi di casa e figli ha prodotto un valore che va considerato quando il matrimonio si scioglie.

A questo si aggiunge la funzione perequativa, che consente al giudice di riequilibrare disparità economiche non giustificate.

I criteri per ottenerlo: cosa valuta il giudice davvero

Il punto di partenza è sempre la comparazione delle situazioni economico-patrimoniali dei due ex coniugi. Il tribunale guarda al reddito attuale e potenziale, al patrimonio mobiliare e immobiliare, alle spese ricorrenti, ma soprattutto alla storia del matrimonio.

Conta la durata dell’unione, il ruolo familiare ricoperto da ciascuno, il contributo alla vita domestica, la crescita dei figli, l’eventuale rinuncia a opportunità lavorative, l’età dell’avente diritto, lo stato di salute e la concreta possibilità di reinserimento nel mercato del lavoro.

Non basta essere “più poveri” dell’altro: la differenza deve ricollegarsi a scelte comuni che hanno favorito il coniuge economicamente più solido o hanno reso ragionevolmente difficile, per chi chiede l’assegno, recuperare autonomia economica.

Se il coniuge richiedente è professionalmente qualificato, in età attiva e senza ostacoli oggettivi all’occupazione, il giudice tende a privilegiare soluzioni contenute o temporanee, oppure a negare l’assegno.

Al contrario, laddove emergano sacrifici di lungo periodo (per esempio anni dedicati alla cura dei figli o supporto all’attività dell’altro coniuge senza retribuzione), l’assegno divorzile diventa lo strumento per una compensazione effettiva.

Come funziona il calcolo dell’importo

Non esiste un tariffario. L’importo nasce dall’incrocio di tre prospettive.

  • La prima è la capacità economica di chi dovrebbe corrispondere l’assegno: un obbligo che non deve comprimere eccessivamente la sua possibilità di mantenersi.
  • La seconda è il fabbisogno ragionevole di chi lo richiede, cioè ciò che serve per garantirgli un livello di vita dignitoso e coerente con il percorso familiare svolto.
  • La terza è la “quota compensativa”, che tiene conto del valore — anche se non monetizzato — del lavoro domestico, dell’interruzione di carriera e di tutte quelle attività invisibili che hanno consentito all’altro coniuge di crescere professionalmente.

Il giudice può arrivare a importi significativi quando la disparità è marcata e il sacrificio è stato duraturo; viceversa, può limitarsi a un assegno simbolico o negarlo del tutto se i presupposti non emergono. In alternativa alla corresponsione periodica, le parti o il giudice possono optare per la liquidazione “una tantum”: una somma complessiva che chiude ogni rapporto economico tra gli ex coniugi, non modificabile in seguito.

Durata, revisione e modifiche nel tempo

L’assegno divorzile non è scolpito nella pietra. Se, dopo la sentenza, cambiano in modo rilevante le condizioni economiche di uno dei due, si può chiedere la revisione. Un nuovo impiego stabile, una perdita improvvisa di reddito, la nascita di nuove responsabilità economiche, un’eredità o la vendita di un immobile possono giustificare l’aumento, la riduzione o la revoca. La domanda di modifica si presenta al tribunale che ha pronunciato il divorzio, allegando documenti aggiornati e spiegando perché il quadro è mutato rispetto a quello valutato all’epoca della decisione.

Quando l’assegno si estingue automaticamente

Ci sono circostanze in cui l’assegno cessa di diritto. Le nuove nozze dell’ex coniuge beneficiario fanno decadere automaticamente il diritto: chi si risposa entra in un nuovo progetto familiare e non può continuare a ricevere l’assegno dall’ex.

La convivenza “more uxorio” stabile e di lungo periodo, con progetto di vita e solidarietà economica simile a quella matrimoniale, non fa decadere automaticamente, ma nella prassi porta spesso alla revoca perché spezza quel nesso compensativo-assistenziale che aveva giustificato l’assegno. Diverso è il caso delle convivenze episodiche o non stabili, che di regola non incidono.

Il rapporto con i figli e con la casa familiare

L’assegno divorzile non va confuso con il mantenimento dei figli, che risponde a criteri autonomi e resta dovuto a prescindere dalle dinamiche tra ex coniugi. L’eventuale assegnazione della casa familiare al genitore collocatario non sostituisce l’assegno divorzile, ma può incidere sulla quantificazione complessiva: avere il godimento dell’immobile riduce una voce di spesa importante e viene considerato nel bilanciamento.

Allo stesso modo, le spese straordinarie per i figli restano estranee all’assegno divorzile e si regolano con criteri propri.

Profili fiscali: cosa cambia tra periodico e una tantum

Sul piano fiscale, la distinzione è netta. Le somme corrisposte periodicamente a titolo di assegno divorzile sono, in linea generale, deducibili per chi paga e imponibili per chi riceve. La soluzione “una tantum”, invece, non è deducibile per l’obbligato e non costituisce reddito imponibile per il beneficiario. La scelta tra le due formule, quindi, non è solo giuridica, ma ha anche effetti fiscali concreti che conviene valutare con attenzione quando si negozia un accordo.

Documenti e prove utili per la richiesta

Chi chiede l’assegno deve raccontare al giudice, con fatti e documenti, la propria storia coniugale ed economica. Buste paga, dichiarazioni dei redditi, estratti conto, visure catastali, contratti di lavoro e di locazione delineano la fotografia patrimoniale.

Ma sono cruciali anche le prove “qualitative”: certificazioni di periodi di aspettativa per la nascita dei figli, testimonianze che attestano rinunce lavorative, documentazione di attività svolte dentro l’impresa familiare, curriculum interrotto per scelta condivisa. Più la narrazione è concreta e coerente, più il tribunale può calibrare un assegno davvero corrispondente alle esigenze e ai meriti.

Assegno e TFR, reversibilità, previdenza

Il divorzio ha ricadute anche su alcune voci previdenziali. L’ex coniuge titolare di assegno divorzile e privo di nuove nozze può, in presenza dei presupposti, vantare diritti su una quota del TFR maturato dall’altro durante il matrimonio al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Analogamente, può concorrere alla pensione di reversibilità in caso di decesso dell’ex, secondo criteri di ripartizione con l’eventuale coniuge superstite e alla luce della durata del matrimonio e dell’effettiva titolarità dell’assegno.

Sono profili tecnici che spesso vengono trascurati in fase di accordo, ma che incidono in modo reale sulla sicurezza economica di lungo periodo.

Inadempimento e tutele esecutive

Se l’obbligato non paga, l’ex beneficiario può attivare tutele rapide. Il tribunale può ordinare il pagamento diretto da parte del datore di lavoro dell’inadempiente, trattenendo alla fonte quanto dovuto; in alternativa si procede con il pignoramento di conti, crediti o beni.

L’inosservanza prolungata può comportare anche responsabilità ulteriori. È utile, in sede di accordo, prevedere modalità di versamento tracciabili e scadenze chiare per evitare contenziosi.

Strategie pratiche per un accordo sostenibile

La negoziazione assistita e la mediazione tra avvocati aiutano a costruire soluzioni realistiche. Quando esiste uno squilibrio economico legato a sacrifici familiari evidenti, la combinazione di un assegno temporaneo e di un percorso di ricollocazione (formazione, ricerca attiva, flessibilità oraria condivisa) può trasformare l’assegno da misura meramente assistenziale a leva per tornare autonomi.

Dove le condizioni lo consentono, una “una tantum” ben calibrata chiude la partita economica evitando contese future. L’importante è che l’accordo rifletta il percorso di vita compiuto insieme e non solo la fotografia del presente.

Assegno divorzile: criteri per ottenerlo e come funziona

L’assegno divorzile ha senso quando lo squilibrio economico nasce da scelte coniugali che hanno creato, per uno, opportunità e, per l’altro, rinunce non recuperabili nell’immediato. Il giudice guarda alla storia, non a un astratto standard di vita; misura il bisogno, ma anche il merito; costruisce un equilibrio che non punisce né premia, bensì compensa e responsabilizza. Quanto dura e quanto vale dipende dal caso concreto.

Preparare bene i documenti, raccontare con precisione il contributo dato alla famiglia e considerare anche gli effetti fiscali e previdenziali sono i passi decisivi per ottenere una decisione giusta o un buon accordo.

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