Una svolta dopo anni di attesa. In Italia il tema del salario minimo ha attraversato decenni di discussioni, proposte, contrapposizioni sindacali e politiche. Fino ad oggi, infatti, non esisteva una legge che fissasse un salario minimo legale per tutti i lavoratori nel settore privato: molto dipendeva dai contratti collettivi nazionali (CCNL) e da quanto le parti sociali erano riuscite a negoziare.
La legge n. 144/2025, approvata il 26 settembre e pubblicata in Gazzetta Ufficiale a ottobre, rappresenta quindi un momento di svolta: non introduce subito una cifra minima oraria o mensile, ma affida al Governo una delega per normare la retribuzione “proporzionata e sufficiente”.
Legge 144/2025: nuove regole sul salario minimo in Italia
Cosa stabilisce la legge 144/2025
In concreto, la legge delega prevede che il Governo, entro sei mesi, adotti uno o più decreti legislativi che regolino:
-
i trattamenti economici minimi dei lavoratori del settore privato;
-
il ruolo della contrattazione collettiva come strumento centrale;
-
procedure di controllo, trasparenza e informazione sull’applicazione dei contratti;
-
misure per contrastare il lavoro sottopagato e il dumping contrattuale (cioè imprese che applicano contratti di basso livello o nessun contratto).
In altre parole: la legge mette le basi affinché i minimi salariali validi siano quelli previsti dai CCNL più applicati nei settori economici, e li renda vincolanti anche per chi prima non era coperto da contrattazione applicata.
Perché non c’è una soglia fissa già ora
La prima domanda che molti si pongono è: “Ma quanto sarà il salario minimo?” La risposta è: non lo sappiamo ancora con precisione. La legge non fissa oggi un importo (es. “9 euro l’ora” come era stato proposto in precedenza), bensì delega il Governo a stabilire criteri e livelli in futuro.
Questo approccio è stato motivato col fatto che fissare una soglia uniforme in un paese come l’Italia — con settori, territori e contratti molto diversi — rischiava di essere poco calibrato o perfino controproducente. Le parti in causa, datori di lavoro e sindacati, avevano chiesto che fosse la contrattazione, integrata dalla legge, a definire i minimi “giusti”.
Quali sono le novità più significative
Tra le novità più importanti introdotte dalla legge, meritano menzione alcuni aspetti:
-
I trattamenti economici minimi dei CCNL maggiormente applicati diventeranno il riferimento per tutti i datori di lavoro dello stesso settore, anche per quelli che prima applicavano contratti “pirata” o nessun contratto.
-
Nei contratti di appalto e subappalto viene previsto l’obbligo che venga applicato il CCNL che prevede il trattamento economico minimo adeguato.
-
I datori di lavoro dovranno indicare in busta paga o nella comunicazione obbligatoria il CCNL applicato, e i flussi informativi (INPS, Ministero del Lavoro) saranno rafforzati.
-
Saranno istituiti strumenti di controllo e monitoraggio semestrale per verificare la situazione dei salari minimi, la diffusione dei contratti applicati e le distorsioni del mercato del lavoro.
Quali restano i punti in sospeso e le criticità
Non tutto è già definito: la legge lascia al prossimo Governo il “come” e il “quando” dei decreti attuativi. E su questo si giocano alcune sfide:
-
È necessario definire in modo preciso cosa si intende per “trattamento economico minimo complessivo” (cioè se comprende o no indennità varie, tredicesima, etc.). Alcuni contratti collettivi applicati in Italia già prevedono livelli più alti rispetto a quelli che erano stati proposti per legge.
-
I territori e le imprese piccole rischiano di faticare nell’adeguarsi: se si stabilisce un livello minimo elevato in tutta Italia, imprese di zone con costo di vita relativamente basso potrebbero incontrare difficoltà.
-
Le opposizioni sindacali avvertono che una delega generica rischia di far slittare la norma attuativa, con conseguente ritardo sull’effettiva applicazione.
Quali cambiamenti per lavoratori e imprese
In termini pratici, per un lavoratore significherà che: se era occupato in un ambito in cui il contratto collettivo non era applicato pienamente, o con basso livello retributivo, potrà avere diritto a un livello minimo “normato e garantito” dalla legge.
Per l’impresa significa che non sarà più sufficiente applicare una normativa minima generica: dovrà adeguarsi al contratto collettivo “più applicato” del proprio settore, con possibili implicazioni in termini di costo del lavoro, relazioni sindacali e procedure più trasparenti.
Perché questa legge è così importante
Perché tenta di dare attuazione all’articolo 36 della Costituzione («Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.») — principio che era da tempo richiamato, ma non tradotto in norme specifiche applicabili a tutti i settori.
In un contesto in cui la contrattazione collettiva si era «allentata», e dove esistevano imprese che applicavano contratti “pirata” o nessun CCNL, la legge delega mira a dare maggiore certezza e tutela ai lavoratori, riducendo il rischio che retribuzioni troppo basse diventino la norma.
Come muoversi ora: cosa osservare nei prossimi mesi
-
Tenere d’occhio l’emanazione dei decreti legislativi: saranno quelli che definiranno quanto vale concretamente il minimo e in che modo verrà applicato.
-
Verificare se il proprio contratto collettivo nazionale di lavoro è tra quelli “maggiormente applicati” nel settore: se sì, diventerà riferimento minimo per l’azienda.
-
Per le imprese: prepararsi a effettuare un’analisi del costo del lavoro, dei contratti applicati e delle procedure retributive, perché potenzialmente ci sarà un adeguamento da fare.
-
Per i lavoratori: controllare che in busta paga sia indicato il CCNL applicato, e che non sia al di sotto del minimo previsto dalla contrattazione.
Legge 144/2025: nuove regole sul salario minimo in Italia
La legge 144/2025 non introduce immediatamente una cifra unica e fissa per il salario minimo — ma segna un passaggio decisivo verso una retribuzione più tutelata e regolare in Italia.
Con essa, la contrattazione collettiva si conferma come fulcro del sistema, ma il legislatore riconosce che servono regole generali e vincoli minimi affinché la protezione dei lavoratori non dipenda solo dalla forza negoziale di sindacati e imprese.
Resta da vedere come e quando si concretizzeranno i decreti attuativi, e quale sarà l’effettivo impatto sulla vita lavorativa quotidiana. Per ora, siamo davanti a un cambio di scenario non da poco.
