Novembre 10, 2025
Controllo Investigativo Il Datore di Lavoro Può Pedinare un Dipendente

È una domanda che suscita sempre molto interesse e anche qualche preoccupazione: un datore di lavoro può far pedinare un dipendente da un investigatore privato?
In un’epoca in cui la tutela della privacy si scontra spesso con l’esigenza delle aziende di prevenire comportamenti scorretti, il tema del controllo investigativo è più attuale che mai.

La risposta, in breve, è sì, ma con limiti molto rigidi. Il datore di lavoro può ricorrere a un investigatore privato solo in casi specifici e rispettando le norme previste dallo Statuto dei Lavoratori, dal Codice Civile e dal Garante per la Privacy.

Vediamo allora in modo chiaro e approfondito quando è legittimo il pedinamento di un dipendente, cosa può fare un investigatore e cosa invece sarebbe considerato una violazione dei diritti del lavoratore.

Controllo Investigativo: Il Datore di Lavoro Può Pedinare un Dipendente?

Il principio generale: la tutela della dignità del lavoratore

Il punto di partenza è l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970), che vieta controlli a distanza sull’attività dei dipendenti, salvo casi ben determinati.

“È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.”

Questo principio serve a garantire la dignità e la riservatezza del lavoratore, impedendo che il datore di lavoro sorvegli costantemente la sua vita o il suo operato.

Tuttavia, la stessa legge — e la giurisprudenza successiva — ammettono delle eccezioni: i controlli possono essere considerati leciti se servono a tutelare interessi aziendali legittimi, come la prevenzione di frodi, furti, o comportamenti fraudolenti del dipendente.

Controllo diretto e controllo investigativo: la differenza

È importante distinguere tra controllo diretto (quello che il datore esercita personalmente o attraverso strumenti aziendali) e controllo investigativo, che viene affidato a un’agenzia esterna.

  • Il controllo diretto è generalmente vietato se serve solo a monitorare il lavoratore.

  • Il controllo investigativo, invece, può essere legittimo se finalizzato ad accertare comportamenti illeciti estranei alle normali mansioni lavorative.

In altre parole, il datore non può pedinare un dipendente solo per verificare se lavora bene o rispetta l’orario; ma può farlo se sospetta, per esempio, un furto, una truffa o un abuso di permessi.

Quando il pedinamento del dipendente è legittimo

Secondo la Cassazione (tra le sentenze più note, Cass. n. 4984/2014 e Cass. n. 15094/2018), il datore di lavoro può incaricare un investigatore privato di svolgere controlli sul lavoratore solo in presenza di un sospetto fondato di illecito.

Ecco i casi più comuni in cui il controllo investigativo è ammesso:

  • Abuso dei permessi ex Legge 104/1992 (es. il dipendente che usa i permessi per motivi personali e non per assistere il familiare disabile).

  • Falsi infortuni o malattie simulate.

  • Furti o appropriazioni indebite di beni aziendali.

  • Concorrente sleale che svolge attività per un’altra azienda durante l’orario di lavoro.

  • Violazioni disciplinari gravi, come danneggiamento intenzionale di beni aziendali.

In tutti questi casi, il controllo non deve riguardare come il dipendente lavora, ma se sta tenendo comportamenti che violano i doveri di correttezza e buona fede.

Quando invece il pedinamento è vietato

Il datore di lavoro non può usare il controllo investigativo per sorvegliare la vita privata del lavoratore o per verificare la semplice produttività. Sono quindi illeciti i pedinamenti che hanno come scopo:

  • controllare la vita familiare o le relazioni personali;

  • verificare l’uso del tempo libero;

  • sorvegliare il dipendente senza un motivo concreto;

  • raccogliere informazioni riservate non legate al lavoro.

In questi casi, si configurerebbe una violazione della privacy e dei diritti fondamentali del lavoratore, con conseguenze anche gravi per l’azienda.

Il ruolo dell’investigatore privato

Solo un investigatore autorizzato (iscritto all’albo prefettizio) può svolgere un controllo di questo tipo. Non può farlo il datore di lavoro in prima persona, né colleghi o responsabili aziendali.

L’investigatore, inoltre, deve rispettare limiti precisi:

  • può osservare e documentare comportamenti visibili in luoghi pubblici o aperti al pubblico;

  • non può introdursi in luoghi privati (come abitazioni o spogliatoi);

  • può scattare foto o video solo se pertinenti all’indagine;

  • deve trattare i dati raccolti secondo le regole del Regolamento Europeo sulla Privacy (GDPR).

Il suo compito non è “spiare” la vita privata del dipendente, ma documentare comportamenti contrari ai doveri lavorativi.

Controllo e tutela della privacy

Ogni attività investigativa deve rispettare il principio di proporzionalità: i mezzi usati devono essere adeguati e non eccessivi rispetto all’obiettivo. Per questo motivo, il Garante per la Privacy ha più volte precisato che:

“Il controllo sul lavoratore è legittimo solo se necessario per accertare specifiche condotte illecite e non può mai sconfinare nella sfera privata.”

In caso contrario, il datore di lavoro rischia sanzioni per violazione della privacy e per uso illecito dei dati personali.

Le prove raccolte dall’investigatore: sono valide?

Le prove ottenute da un investigatore possono essere utilizzate in un procedimento disciplinare o giudiziario, solo se raccolte nel rispetto della legge. La giurisprudenza ha più volte riconosciuto la validità delle riprese video o dei pedinamenti quando finalizzati ad accertare comportamenti fraudolenti.

Ad esempio:

  • se un dipendente in malattia viene filmato mentre lavora altrove, le immagini possono essere usate per giusta causa di licenziamento;

  • se invece le riprese violano la privacy (ad esempio mostrano momenti intimi o luoghi privati), sono considerate prove illegittime e non possono essere usate in giudizio.

Cosa rischia il datore di lavoro in caso di abuso

Se il datore di lavoro effettua controlli senza motivo o senza rispettare la legge, può incorrere in diverse conseguenze:

  • Sanzioni amministrative da parte del Garante della Privacy.

  • Annullamento del licenziamento se basato su prove illegittime.

  • Richiesta di risarcimento danni da parte del lavoratore per lesione della privacy e della dignità personale.

  • In casi estremi, responsabilità penale per interferenza illecita nella vita privata (art. 615 bis c.p.).

Inoltre, eventuali prove raccolte in modo irregolare non possono essere utilizzate in sede giudiziaria.

E se il controllo riguarda i social network?

Un tema molto attuale riguarda il monitoraggio dei social network da parte del datore di lavoro. Anche in questo caso valgono le stesse regole: il controllo è lecito solo se serve ad accertare comportamenti illeciti.

Ad esempio, è considerato legittimo usare post pubblici (visibili a tutti) come prova di un abuso di permesso o di comportamenti scorretti. Diverso è il caso dei contenuti privati: in questo caso, l’azienda non può accedervi senza consenso, pena violazione della privacy.

Le sentenze più rilevanti

Negli ultimi anni, diverse sentenze hanno chiarito i limiti del controllo investigativo:

  • Cass. Civ. n. 4984/2014 – È lecito l’uso di un investigatore per verificare comportamenti fraudolenti del dipendente.

  • Cass. Civ. n. 15094/2018 – Il pedinamento è ammesso solo se finalizzato ad accertare violazioni estranee alle mansioni lavorative.

  • Cass. Civ. n. 10955/2015 – Le prove raccolte nel rispetto della privacy sono utilizzabili anche per licenziamenti disciplinari.

Tutte concordano su un punto: il datore di lavoro può difendere i propri interessi, ma deve farlo nel rispetto dei diritti fondamentali del lavoratore.

Controllo Investigativo: Il Datore di Lavoro Può Pedinare un Dipendente?

Il pedinamento di un dipendente da parte del datore di lavoro non è di per sé illegale, ma è ammesso solo in circostanze eccezionali e con modalità rigorose. È legittimo se serve a scoprire comportamenti illeciti o fraudolenti, ma illegittimo se ha lo scopo di controllare la vita privata o la produttività quotidiana.

In sintesi:

  • L’investigatore privato può essere incaricato solo con motivo fondato e documentabile.

  • I controlli devono essere proporzionati e limitati all’indagine.

  • Le prove raccolte devono rispettare la privacy e possono essere usate solo se ottenute in modo lecito.

Il confine è sottile, ma fondamentale: tutelare l’azienda sì, violare la dignità del lavoratore no.

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